L’11 novembre cala il sipario su un’annata difficile per cerealicoltura, zootecnia da latte e apicoltura, ma ottima per l’uva da vino e la frutta. Confagricoltura: “Mancano politiche in grado di stimolare la crescita del settore. I giovani faticano a inserirsi. Si accumulano i problemi irrisolti: dalla burocrazia al proliferare della fauna selvatica, fino al PSR che lascia profondamente insoddisfatte le imprese agricole piemontesi”.
L’agricoltura è ancora lontana dalla ripresa. Come altri settori economici, quello primario, più di altri, soffre per il perdurare di un contesto generale ancora incerto, con politiche poco orientate a dare maggiore competitività alle imprese.
A livello regionale il PSR, come è emerso anche dalla massiccia partecipazione alla manifestazione organizzata da Confagricoltura Piemonte la scorsa settimana a Torino, ha generato profonda insoddisfazione tra gli agricoltori, in gran parte esclusi dai finanziamenti erogati dall’Europa a favore di un’agricoltura moderna, attenta all’ambiente e alla sostenibilità, capace di stare sui mercati nazionali e internazionali. “La mancanza di una pianificazione lungimirante, di azioni rapide ed efficaci, contribuisce a mantenere in stallo il settore. – afferma il presidente di Confagricoltura Torino Paolo Dentis – I giovani faticano a diventare imprenditori e le misure del PSR del Piemonte, che dovrebbero agevolare il ricambio generazionale nelle imprese, di fatto frustrano le aspettative di investimento”.
Le imprese agricole registrate in Piemonte sono 54.960 (fonte: InfoCamere, ottobre 2016). Lo scorso anno, nello stesso periodo, erano 55.097; il 2015 ha chiuso con 54.748. In Italia oggi ci sono 758.687 imprese agricole, in linea con lo scorso anno (+0,09%). I giovani agricoltori under 35 lo scorso anno erano il 6,6% in Italia e il 5,9% in Piemonte (fonte: Centro Studi Confagricoltura, febbraio 2015): le misure del PSR dedicate dovrebbero favorire il rilancio dell’imprenditoria giovanile agricola, ma l’impostazione che ha scelto la Regione non va nella direzione giusta.
I prezzi dei prodotti agricoli all’origine, tranne alcune eccezioni, rimangono stabili o sono addirittura in calo. Gli interventi messi in atto dalle istituzioni per frenare la crisi di alcuni comparti sono al momento ancora lontani dal dare beneficio agli agricoltori.
In questo contesto, il bilancio dell’annata agraria che si chiude a San Martino n Piemonte presenta un quadro di poche luci e ancora troppe ombre.
Note positive riguardano la viticoltura e la suinicoltura. Il 2016 è una di quelle annate da ricordare per l’elevata qualità della vendemmia. La suinicoltura, dopo anni di crisi, registra un’inversione di tendenza, con quotazioni in rialzo. Nel comparto frutticolo, bene le nocciole, con superfici e prezzi in rialzo, ma anche le pesche e le pere.
Diminuisce drasticamente la produzione di miele, soprattutto d’acacia, che registra per quantità l’annata più negativa degli ultimi trent’anni.
Il latte vaccino chiude un’annata di quotazioni molto basse e aumento della produzione a causa della cessazione del regime delle “quote”.
L’allevamento bovino vive una fase di lunga transizione, con consumi di carne in calo ma orientati su una produzione di maggiore qualità che, per quanto riguarda la nostra regione, premiano la razza Piemontese. Diminuiscono leggermente i costi di gestione per le aziende zootecniche da carne, a causa delle basse quotazioni dei mangimi.
Per la cerealicoltura, l’estate 2016 ha visto gli agricoltori in piazza a difesa del grano italiano, alla prese con prezzi a picco rispetto a un anno fa, manovre speculative e import in costante aumento.
Confagricoltura a livello regionale e locale sta lavorando per cercare di aggregare le aziende, soprattutto nei comparti più deboli (cerealicoltura e zootecnia da latte) e rafforzarle, per aiutarle ad affrontare il mercato e le sue oscillazioni.
Infine il problema della fauna selvatica, per il quale occorre intervenire con urgenza in materia di gestione, nonché di protezione del territorio agricolo e rurale. Non solo i cinghiali, ma anche nutrie e lupi causano danni enormi ai coltivi, alle comunità rurali e anche ai cittadini. “Il riordino delle competenze in materia di agricoltura, con il ritorno della maggior parte dei compiti alla Regione – afferma Dentis – ha annullato il confronto che prima veniva svolto a livello di area vasta. A nostro avviso serve un coordinamento che non può essere di esclusiva competenza regionale, poiché questo causa inevitabilmente maggiore disattenzione rispetto al passato”.