Tutto quello che c’è da sapere per capire la crisi del latte

12.10.2015

latte-mucche

Un gruppo di produttori, appartenenti a diverse sigle sindacali, ha deciso di tenere una riunione pubblica domani sera, martedì 13 ottobre alle 21, nel salone del ristorante Ippocampo di Vigone (TO), per discutere del problema del prezzo del latte alla stalla. La riunione fa seguito a un incontro che si è svolto giovedì 1 ottobre a Macello. Confagricoltura è stata invitata a intervenire e ha assicurato la partecipazione, con i propri dirigenti.

Prima di tutto: la crisi del latte è davvero grave? Dicono che gli agricoltori sono propensi al mugugno e al lamento, ma in questo caso i numeri chiariscono bene il quadro.

A gennaio del 2014 in Piemonte il prezzo medio del latte alla stalla era di 39 centesimi al litro, esclusi i premi qualità. Oggi, nella migliore delle ipotesi, arriviamo a 34 – 35 centesimi al litro, compresi i premi qualità, ma non è così raro trovare partite pagate meno di 30 centesimi al litro.

Per prendere un caffè al bar è necessario produrre 3 litri di latte di latte. Cioè: un litro di latte alla stalla vale meno di 700 lire, tanto quanto valeva nel 1997, ma allora il prezzo al consumo era di 2.000 lire al litro, mentre oggi supera le 3.000 lire. Il costo della materia prima incide sempre meno; allora pesava per il 35% sul prezzo finale, mentre adesso siamo al 20%. Il margine che hanno perso gli agricoltori è andato all’industria e alla grande distribuzione. I fatti sono questi e il resto è chiacchiera.

La crisi quindi c’è. Concreta, evidente, tangibile. Gli allevatori si lamentano a ragione.

Un gruppo di produttori, appartenenti a diverse sigle sindacali, ha deciso di tenere una riunione pubblica martedì prossimo, 13 ottobre alle 21, nel salone del ristorante Ippocampo di Vigone, per parlare del problema del prezzo del latte. La riunione fa seguito a un incontro che si è svolto giovedì 1 ottobre a Macello. Confagricoltura è stata invitata a intervenire e ha assicurato la propria partecipazione.

La crisi del latte non nasce dal caso.

Viviamo in un mondo globalizzato e ormai da tempo il prezzo del latte non viene più deciso nella pianura padana.

A livello mondiale, europeo e italiano negli ultimi tempi è aumentata la produzione, i consumi stagnano, è finito il regime delle quote latte dell’Unione europea e molti allevatori hanno incentivato la produzione. A livello internazionale i prezzi sono più bassi rispetto al passato.

E ancora: i costi di produzione del nostro Paese sono più alti rispetto a quelli delle altre nazioni europee, paghiamo di più l’energia (gas, luce, combustibili), spendiamo di più per la manodopera – non perché i lavoratori italiani siano più cari, ma perché i nostri oneri sociali sono più alti – paghiamo di più per gli affitti dei terreni e per comprare la terra, mediamente, spendiamo 4 – 6 volte quanto spendono i francesi, per fare un esempio.

L’effetto combinato delle difficoltà di mercato e dei costi di produzione elevati si traduce in una perdita di competitività che penalizza i nostri allevatori.

Inoltre non bisogna sottovalutare gli errori (sono molti) che si sono commessi. Senza cercare capri espiatori, ma indicando le chiaramente le responsabilità. Con il senno di poi – ma Confagricoltura e le organizzazioni che si riconoscono in Agrinsieme l’avevano già denunciato allora, senza mezzi termini – la Legge 33 del 2009 è stata un errore perché ha penalizzato gli allevatori che avevano già scelto di mettersi in regola nel passato, creando un ulteriore vantaggio per chi si è sempre posto fuori dalla legalità. La rottura del fronte unitario degli agricoltori è stata un ulteriore danno. La scelta di costituire cooperative che hanno come riferimento un unico acquirente  si è rivelata una scelta scarsamente lungimirante e oggi molti allevatori pagano il conto di quella decisione. Tutto questo dovrebbe aver fatto capire, perlomeno agli allevatori, se non alle organizzazioni che li rappresentano, che le divisioni danneggiano il sistema. Dopo anni di tensione pare che oggi il clima stia migliorando e che ci sia una nuova disponibilità a lavorare insieme. Valuteremo se le buone intenzioni resteranno propositi o se si tradurranno in fatti concreti. Oggi, 11 ottobre, è la festa di San Giovanni XXIII. Papa Giovanni diceva “Cerchiamo sempre ciò che ci unisce, mai quello che ci divide”. Con questo spirito confermiamo la nostra disponibilità al confronto.

I produttori di latte per uscire dalla crisi dovranno affrontare una vera e propria traversata del deserto di proporzioni bibliche. Con un avviso a chi si mette in marcia per la terra promessa: non ci sono scorciatoie. Non esiste (purtroppo) una ricetta anti-crisi che offra risultati immediati.

Alcune indicazioni per non perdere la bussola sono rappresentate dall’ulteriore riduzione dei costi di produzione del latte alla stalla (si è già fatto molto, ma si può fare sempre meglio), da un miglior sfruttamento dei fondi comunitari, nazionali e regionali a disposizione del settore primario e del comparto lattiero caseario, da un rafforzamento della cooperazione sana, che sappia guardare alle esigenze della produzione confrontandosi con il mercato, tenendo presente che “piccolo è sempre meno bello” (se ne facciano una ragione quelli che pensano il contrario).Si dovrà cercare un’ulteriore valorizzazione delle produzioni a denominazione d’origine protetta che garantiscono, nei fatti, un miglior apprezzamento della produzione, si dovrà perseguire una maggior tutela dalle contraffazione delle nostre produzioni, sul fronte interno e sui mercati internazionali.

Occorrerà anche riflettere, senza preclusioni, su un sistema di contingentamento delle produzioni, imposto per legge o attuato per libera scelta degli allevatori. Il sistema delle quote si è rivelato un fallimento sotto l’aspetto della gestione, ma dal punto di vista della tutela dell’equilibrio produttivo ha dimostrato di avere sua validità. Anche per il mondo del vino l’Unione europea ha detto stop al blocco degli impianti di vigneti, ma ha introdotto un regime “transitorio dinamico” di autorizzazioni che durerà fino al 2030. Nel mondo del latte non si è attivato nessun “atterraggio morbido” al regime delle quote e in questo modo si avvantaggeranno le agricolture più strutturate (in questo campionato noi siamo al fondo della classifica).

Sulla qualità e sul made in Italy si sono già sprecate troppe parole. Ciò che serve è una vera tutela delle nostre produzioni. Occorrono controlli più accurati, non soltanto alle frontiere una volta all’anno – con folcloristiche e patetiche gite in montagna – ma con verifiche quotidiane accurate, partendo dalle banche dati per finire agli stabilimenti di produzione e ai centri di distribuzione.

I produttori devono acquisire consapevolezza della centralità del loro ruolo. Gli allevatori devono prendere coscienza che divisi non si va da nessuna parte, che i risultati non si possono raggiungere l’arco di una settimana o con una manifestazione di protesta, che la strada per arrivare al miglioramento delle loro condizioni è lunga e deve essere percorsa ogni giorno con coraggio, con passione e grande determinazione, senza cedere alle lusinghe di accordi politico-sindacali salvifici. A scanso di equivoci: il prezzo del latte lo fa il mercato e non lo decide la politica.

Bisogna migliorare, ma forse meglio sarebbe dire ri-costruire, i rapporti di filiera, che devono necessariamente crescere e maturare. Assistiamo ancora troppo spesso a posizioni scarsamente rispettose delle legittime richieste del mondo produttivo. È necessario che il mondo dell’industria e della grande distribuzione si dimostri, nei fatti, disponibile a colloquiare con franchezza e trasparenza con il mondo agricolo. Tenendo presente che per arrivare al miglioramento dei rapporti si possono compiere passaggi graduali, attraverso un confronto pacato, ma che esistono anche altri altre strade. Per questo, restando uniti, non si può trascurare a priori anche una stagione di confronti accesi, se non di scontri, con il mondo dell’industria e della grande distribuzione. Gli atti violenti sono sempre da condannare e gli allevatori non vogliono danneggiare nessuno, ma a volte il gioco duro può servire per ricompattare i fronti e per far capire a tutti gli interessi in gioco.

La politica, infine, dovrebbe esercitare il suo ruolo, rinunciando a qualche annuncio e mettendo a confronto le forze in campo, con gli strumenti che ha a disposizione, mediando tra le parti e impegnandosi realmente per ottenere un accordo rispettoso degli equilibri di mercato e garante della dignità di tutti gli attori.

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