La Piemontese è passione ma il mercato non la premia

19.12.2023

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Articolo di Paolo Ragazzo – L’Agricoltore cuneese 06/2023

“Non è un momento facile, fatichiamo a recuperare i costi che sosteniamo in allevamento. Così non possiamo andare avanti. La Piemontese è un valore unico del nostro territorio e ha qualità che poche altre carni possiedono, ma la remunerazione di noi allevatori non è per nulla consona ad un prodotto di eccellenza”.

Paolo Solavaggione, di Savigliano, ci accoglie così nella sua azienda. Con l’esasperazione di chi è consapevole che il suo lavoro vale e che anche la carne che produce deve essere riconosciuta in modo adeguato, considerata la sua eccelsa qualità che la rende tra le più pregiate d’Italia. “Non si può fare un prezzo standard della Piemontese, perché incidono molti fattori (la genetica, il peso, la struttura …) e non tutti i capi sono uguali pur se della stessa razza – ci dice –. Inoltre, dobbiamo posizionarci su fasce di mercato più elevate, come hanno fatto, per esempio, in Spagna con la Vacca Galiziana, che è tra le carni più apprezzate al mondo, pur essendo prodotta su un territorio ridotto”.

L’amore per la razza autoctona del territorio, la famiglia Solavaggione ce l’ha da quattro generazioni, ma è con l’ingresso in azienda di Paolo, nel 2009, che ha avuto un impulso decisivo che l’ha portata a crescere dai 40 capi agli attuali 200 circa, con il conseguente aumento delle “giornate” di terra da 25 a un centinaio, più l’affitto di un alpeggio.

“Quando sono stato chiamato ad aiutare i miei genitori anziani e ho dovuto abbandonare il mio lavoro di autista di camion per il trasporto bovino, che ho fatto per 16 anni, ho dovuto rimboccarmi le maniche e iniziare dagli aspetti che mamma e papà erano stati costretti a trascurare, ossia gli investimenti – spiega l’allevatore –. Ho subito realizzato, non senza sacrifici, una nuova stalla con un impianto fotovoltaico da 60 KW sul tetto”. A quello si sono affiancati il rinnovo delle attrezzature aziendali, ma gli investimenti sono continui, come dimostra l’ampliamento della stalla in via di ultimazione.

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Idee chiare anche su dove conferire gli animali. “Avevo sentito parlare molto bene tra i colleghi del lavoro svolto da Sergio Capaldo e da La Granda e mi sono rivolto a loro. Anche perché la filosofia alla base del consorzio mi è sembrata da subito interessante, come il mercato finale: i punti vendita di Eataly – racconta Paolo Solavaggione –. Certo, per farne parte, devi rispettare dei criteri di allevamento sostenibili dell’ambiente e molto attenti al benessere dell’animale”. Sforzi importanti, ma ben remunerati, a sentire l’imprenditore.

Ora, però, anche questa “isola felice” sta soffrendo sotto i colpi dell’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia che è iniziato con la pandemia di Covid-19 ed è proseguito con il conflitto in Ucraina. Uno scenario internazionale che ha sconvolto tutto, anche il mercato della Piemontese. “Non riusciamo ad uscirne – confida l’allevatore –, in più paghiamo il crollo dei consumi di carne, figlio del cambio di abitudini a parte dei consumatori e del costo della vita sempre più alto per le famiglie”.

Gli sforzi in stalla vanno remunerati

Ma per fare l’allevatore i costi sono sempre al rialzo. “Tutta la pratica dell’alpeggio, ad esempio, che anche io svolgo nei mesi estivi salendo con i miei animali all’alpe Seirasso a Prato Nevoso è funzionale ad un buon accrescimento degli animali, ma ha dei costi e comporta dei rischi – dice Paolo Solavaggione –. Quest’anno è stata una stagione positiva a livello climatico e di foraggio, dopo annate piuttosto difficili per via della siccità. E poi c’è il lupo che sovente attacca le mandrie (sempre più anche in pianura per la verità, ndr) e colpisce soprattutto i vitelli. Questi sforzi vanno remunerati se si vuole mantenere in vita una tradizione che è molto più di un’attività economica”.

Lo sguardo di Paolo Solavaggione si accende quando accompagnandoci in visita alla stalla ci fa vedere i suoi capi, bellissimi, e in particolare i suoi buoi. “È la mia grande passione – confida –, li allevo per portarli in mostra nelle principali fiere della zona, da quella di Moncalvo a quella di Carrù dove ho avuto sempre diversi riconoscimenti, il più importante lo scorso anno proprio nel comune monregalese, dove ho vinto il primo premio nella categoria Migliorati”. Ma per allevare un bue servono risorse e tempo. Proprio quest’ultimo fattore sembra essere quello che rischia di mancare al comparto, in una lotta quotidiana alla ricerca di una nuova identità. “Vanno trovate soluzioni, l’immobilismo non è un alternativa contemplata, se non vogliamo che tanti imprenditori smettano di allevare Piemontesi per volgere lo sguardo verso altre razze più ricercate dal mercato e più remunerative”, quasi un monito che suona come “la pazienza non è infinita”.

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