“Da cereali a nocciole, scelta non avventata”
BERNARDINO ROCCA HA CONVERTITO LA SUA AZIENDA A CHERASCO E RACCOGLIE I PRIMI FRUTTI
Articolo di Paolo Ragazzo – L’Agricoltore Cuneese 04/2021
La nocciola, per la pianura cuneese, sta diventando molto più che un’alternativa colturale. Lo testimoniano i numeri, come descritto sullo scorso numero de “L’Agricoltore cuneese”, e lo raccontano le storie di numerose aziende che hanno deciso di investire in corilicoltura, riconvertendo, tutta o in parte, la loro produzione. Siamo stati a Cherasco, 300 metri circa di altitudine e secondo comune della Granda per superficie coltivata a nocciole (624 ettari), per conoscere la storia di Bernardino Rocca (Dino per gli amici) e della sua famiglia, che nel 2016 ha deciso di mettere a dimora le prime piante di nocciolo.
Siamo in località San Giovanni e il paesaggio rurale è fortemente contraddistinto da impianti recenti di noccioleti. “Una ventina di anni fa sarebbe stato difficile da immaginare, ma oggi la corilicoltura si sta diffondendo in queste campagne – spiega Bernardino Rocca, 68 anni –. Io stesso ero a indirizzo zootecnico e cerealicolo (mais, orzo e grano), poi ho deciso di cambiare. La mia è un’azienda storica della zona, siamo agricoltori da tre generazioni. Mio padre Pietro aveva vitelli da ingrasso e terreni coltivati a cereali per il foraggio.
Così ho proseguito anche io fino a qualche anno fa, poi la decisione di cambiare”. Come mai? “Ho dismesso progressivamente l’allevamento e la cerealicoltura non riusciva a garantirmi un’adeguata remunerazione. A questo si aggiunge che gli anni comunque passano e i miei due figli (Silvano e Ilaria), pur dandomi una mano nei momenti di punta della stagione, hanno deciso di dedicarsi ad altre occupazioni. Per cui mi sono trovato a dover cercare alternative, sempre in ambito agricolo. E la mia scelta è ricaduta sulle nocciole”.
È importante partire con il piede giusto
Coltivare nocciole richiede un buon investimento di partenza e la pazienza di attendere che le piante arrivino in piena produzione dopo sette anni circa, ma è tutt’altra attività rispetto all’allevamento bovino, in termini di impegno: “Ho all’incirca una decina di ettari di noccioleto, di quattro e di cinque anni di vita, che riesco a coltivare con l’aiuto di mia moglie Anna Maria – continua l’agricoltore –. Lo scorso autunno abbiamo già raccolto un po’ di prodotto, circa 30 quintali, ma un primo bilancio attendibile sulla scelta fatta lo possiamo solo fare solo tra due o tre anni. Al momento sono molto soddisfatto di aver cambiato”.
Per iniziare con il piede giusto è fondamentale la preparazione del terreno. “Abbiamo fatto uno scasso profondo degli appezzamenti prima di mettere a dimora le piantine e questo ha favorito lo sviluppo vegetativo, che dopo solo qualche anno è già importante – racconta ancora Bernardino Rocca –. Abbiamo anche la fortuna di coltivare terreni irrigabili e quindi, in assenza prolungata di precipitazioni, possiamo sopperire alla mancanza di acqua”.
Effetto pandemia e danni da selvatici
Purtroppo anche il comparto risente, in parte, delle difficoltà del momento legate perlopiù alla pandemia. “Già l’annata 2019 non era stata fortunata a livello di quotazioni per le nocciole, ma il 2020 con l’arrivo della crisi sanitaria e delle sue conseguenze economiche, è stata altrettanto complicata. Il prodotto è sempre stato di qualità elevata, ma le restrizioni del mercato hanno finito per penalizzare anche noi produttori.
La mancanza di fiere e grandi eventi ha frenato la promozione diretta del prodotto”. A destare preoccupazioni anche qui, inoltre, è la presenza ormai fuori controllo di fauna selvatica che, nel caso dei cinghiali provoca pesanti danni ai fondi dei corileti, mentre nel caso dei caprioli ha conseguenze dirette sulle piante: “Si cibano delle giovani gemme e rovinano i tronchi con il palco delle loro corna – sottolinea Dino -, senza contare gli effetti del passaggio dei tassi, anche loro molto ghiotti di nocciole.
Per fortuna, lo scorso anno abbiamo avuto un impatto meno devastante della cimice asiatica, dopo anni di vero flagello per la coltura. È ancora presto per dire se la battaglia contro questo temibile insetto è stata vinta, ma con l’inserimento dell’antagonista e l’avanzare della ricerca siamo sulla buona strada”.
Bernardino Rocca nel 2017 è stato insignito dell’Aratro D’Oro durante l’assemblea di Confagricoltura Cuneo a Vicoforte per la sua vita al servizio del settore e anche questa nuova sfida alla ricerca di una nuova strada per la sua azienda testimonia che quel riconoscimento è stato non solo azzeccato, ma è servito ancor più da stimolo per continuare a fare sempre meglio. Con un segreto particolare: “Non rinuncio alle mie più grandi passioni, i funghi, i tartufi e, in particolare, il tempo con le mie adorate nipotine” ammette l’imprenditore agricolo cheraschese.