L’Alpe Chastlar di Diego Isoardi produce il pregiato formaggio Dop tutto l’anno

20.03.2021

Vivere alla corte del “re“ Castelmagno
Articolo di Paolo Ragazzo tratta da L’Agricoltore Cuneese di Marzo 2021

Azienda agricola

Svegliarsi al mattino, uscire nel cortile di casa, alzare lo sguardo e scorgere poco lontano il santuario di San Magno incorniciato da una corona di monti maestosi. È quanto accade a Diego Isoardi, Nicoletta Viano e alla loro bimba Angiolina di 8 anni ogni mattina, a quota 1.700 metri di altitudine nella frazione Chiappi di Castelmagno, ultimo comune della Valle Grana.

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La gente qui li conosce bene. Lei originaria del posto, lui giunto nel 1993 per sostituire il precedente addetto allo sgombero neve e, da allora, stabilitosi in pianta stabile ai piedi dell’Alpe Chastlar (da cui ha origine il nome dell’azienda), dove vive tutto l’anno. “Prima lavoravo in fabbrica e verniciavo le bici, l’ho fatto per 10 anni – spiega Diego Isoardi -. Poi quando sono arrivato qui, d’estate facevo pochissimo e le entrate erano scarse, così ho iniziato ad allevare alcune vacche, che sono via via aumentate di numero da quando in azienda è arrivata mia sorella e abbiamo deciso di realizzare una nuova stalla nel 1999”. Oggi il lavoro dello  gombero neve è diventato secondario, seppur sempre di fondamentale importanza per tutta la comunità della zona.

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L’attività principale è l’allevamento e la caseificazione. Ma non di un formaggio qualsiasi, bensì del “re” Castelmagno DOP. “Lo produciamo insieme al burro a latte crudo e lo vendiamo a privati, grossisti, negozi e ristoranti – sottolinea Nicoletta Viano -. Purtroppo l’avvento del Covid ci ha penalizzati molto per via delle chiusure delle attività di ristorazione un po’ ovunque, non solo in Italia”. Già, perché il Castelmagno dell’Alpe Chastlar finisce non solo in ogni angolo del nostro Bel Paese, ma anche in giro per il mondo. Tutto possibile grazie ad internet che, oltre a rompere l’isolamento di alcuni periodi dell’anno, aiuta anche la diffusione commerciale di un prodotto vanto della nostra produzione gastronomica.

La produzione del Castelmagno DOP

“Abbiamo deciso negli anni di prediligere la produzione Castelmagno “di Alpeggio” rispetto a quello “di Montagna”, che pure realizziamo, ma in misura minore – continua Nicoletta -. All’anno sono circa 1.200 forme che nascono dal latte munto direttamente in alpeggio, da inizio maggio a fine ottobre. Seguiamo la mandria con una sala mungitura mobile, 20 giorni in un posto, 1 mese in un altro, ma sempre all’aperto, senza mai tornare in stalla”.

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Se il formaggio è prodotto interamente in alpe, ad almeno 1000 metri di quota, può portare la  menzione “di Alpeggio” ed ha l’etichetta di colore verde. Nel caso del “Castelmagno prodotto della montagna” l’etichetta è invece blu. Le protagoniste principali sono comunque loro: le quaranta vacche di razza Grigia Alpina che in estate producono mediamente sette quintali di latte, “oro bianco” pronto per essere lavorato tutto nel caseificio. “Il latte della sera viene raccolto e messo in una caldaia, dove rimane fino al mattino – racconta Diego –; poi lo portiamo a una temperatura di fino a 36-37 gradi e così rimane un’ora in attesa della coagulazione.

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Successivamente la cagliata viene rotta e messa a sgocciolare per 24 ore su un ripiano e collocata, poi, per tre giorni in un’altra vasca con del siero acido delle lavorazioni precedenti. Dopo la “maturazione” viene tritata, messa in fascera e pressata per altre 24 ore. L’indomani la forma viene portata nella cella per la stagionatura, dove vi rimane per almeno 60 giorni”. Un procedimento lungo e rigorosamente “disciplinato” che dura 6 giorni, dalla mungitura alla forma.

La passione non risolve tutti i problemi

Un misto di soddisfazione e senso di responsabilità per il loro lavoro si legge negli occhi di Diego e Nicoletta. Ma è sufficiente per sopportare le difficoltà di una vita trascorsa tutta in alta montagna? “A noi non pesa vivere qua, anche se ultimamente per via della pandemia in corso non c’è davvero anima viva – confessano i due –. Nel nostro lavoro non ti puoi assentare mai, mungiamo due volte al giorno, mattina e sera, e ci piacerebbe trovare un aiutante che sappia già fare questo mestiere. Ma tutti quelli che hanno provato dopo qualche mese preferiscono tornare ad una vita più agiata, diciamo così”.

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Poi ci sono i problemi dell’alta montagna. Su tutti quello della fauna selvatica, cinghiali in primis. “Sono aumentati a dismisura e creano danni ingenti ai pascoli, in tutte le stagioni. Non li ferma neppure la neve”, dice sconsolato Diego Isoardi. Insomma anche quassù si capisce l’urgenza di intervenire per arginare il proliferare di indisturbato degli ungulati. Una questione che quassù fa ancora più rumore e si somma alle altre difficoltà per chi decide di fare agricoltura in alta quota, dove veri e propri gioielli del nostro repertorio gastronomico nascono grazie ad un ingrediente particolare: l’ostinata passione di gente come Diego e Nicoletta.

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