Nel terzo mese del 2020, secondo Ismea, il prezzo medio al consumo della carne suina fresca è risultato pari a 7,39 euro/kg, in aumento sia rispetto al mese precedente (+2,3%) che rispetto allo stesso periodo del 2019 (+10,1%). Lo stesso trend vale per il prosciutto crudo di Parma, in crescita sul mese precedente (+2,2%) e sullo stesso periodo dell’anno scorso (+5,6%). Queste dinamiche pesano direttamente sulle tasche dei consumatori italiani in questo tempo di crisi e lasciano l’amaro in bocca agli allevatori di suini che, invece, hanno visto i prezzi per i capi da macello destinati al circuito tutelato in forte flessione (-21,6% le rilevazioni di aprile 2020 rispetto a dicembre 2019) e i ricavi non sufficienti a coprire i costi di produzione.
Motivo per cui le oltre 800 aziende del comparto in provincia di Cuneo (più di 900mila suini in tutto, il 70% del Piemonte) sono decisamente preoccupate, considerati anche gli effetti legati al Covid-19 che proprio su questo settore sta avendo ripercussioni negative. Come spiega Roberto Barge, presidente della Sezione Suinicola di Confagricoltura Cuneo: “La situazione è molto grave – dichiara –. Bisogna considerare che un 30% del capo macellato è destinato alla produzione di salumi e di insaccati, ma con la chiusura di bar, ristoranti e agriturismi la domanda di questi prodotti si è contratta fortemente. Di conseguenza i macelli hanno ridotto l’attività e questo ha creato un’eccedenza di offerta, che ha fatto calare il prezzo in modo preoccupante: a partire dall’inizio dell’epidemia, a inizio marzo, nel giro di sole otto settimane il prezzo dei suini grassi è diminuito di 40 centesimi/kg. Inoltre gli animali restano inevitabilmente più a lungo nelle stalle, vanno fuori peso e non rientrano più nei limiti previsti dai disciplinari delle DOP. Questo determina un ulteriore deprezzamento”.
Macelli, industrie di trasformazione e prosciuttifici italiani hanno deciso di rallentare le loro produzioni (si stima -20%, con oltre 200 mila capi in arretrato), ma il settore primario non può frenare se non con tempi troppo lunghi. E tutto il peso della crisi si riversa sul settore degli allevamenti, anello più debole della filiera. Confagricoltura ha supportato la richiesta di distogliere prodotto in eccedenza dal mercato, come ha dichiarato Claudio Canali, presidente della Federazione Suinicola nazionale di Confagricoltura: “Togliere un certo quantitativo di cosce può aiutare, ma se non si interviene in fretta, rivedendo anche i rapporti lungo filiera, arriveremo presto al punto di non ritorno. Oggi gli allevatori perdono tra gli 80 e i 100 euro a capo e, anche ipotizzando una ripresa immediata, cosa non verosimile, ci vorrebbero mesi per esaurire le scorte.”.
A questo si aggiunge che il costo dell’alimentazione è in deciso aumento a causa l’innalzamento dei prezzi delle materie prime (es. soia e crusca) per i mangimi, per via di ritardi nell’attracco delle navi in arrivo e difficoltà nei trasporti. L’emergenza sta determinando alcuni squilibri di mercato che stanno rischiando di intaccare la fiducia degli operatori. Occorrono quindi adeguate contromisure per affrontare tale stato di crisi. A gravare anche la situazione import-export, con solo nove macelli autorizzati all’esportazione in Cina dove si può inviare solo carne congelata nello stabilimento di macellazione, senza osso, mentre si importano 53 milioni di cosce a fronte di 20 milioni prodotte.
“Vanno limitate le importazioni, privilegiando i capi nazionali; vanno raccordati prezzi e costi all’origine e al consumo. Come filiera, dobbiamo delineare una nuova suinicoltura nazionale, ragionando di programmazione produttiva, DOP ed export delle nostre eccellenze. E bisogna farlo subito”, conclude Barge.